Read Ritual Online

Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

Ritual (6 page)

Si sentì un leggero colpo alla porta e un istante dopo un agente in uniforme fece capolino.

«Mi spiace interromperla, tenente, ma sulla seconda linea c'è il vicecomandante per le pubbliche relazioni. Dice che deve parlarle.»

Rolk guardò il telefono con una smorfia. Teneva in poco conto il vicecomandante Martin O'Rourke. Come per i suoi colleghi, la sua era stata una nomina politica, era stata voluta dal sindaco. Nondimeno, svolgeva un'attività più che utile; erano lui e i suoi colleghi a trattare con la stampa, evitando a Rolk e ai suoi continui bombardamenti di domande.

Devlin guardò Rolk che sollevava riluttante il ricevitore e ascoltò la succinta conversazione che si svolse.

«Salve, Martin.

«Sì, è una bellezza.

«No, al momento non abbiamo granché, a parte un'identificazione certa, il rapporto del medico legale, che probabilmente avrai già visto, e le prove raccolte sulla scena del delitto.

«Sì, sono sicuro che tutti i reporter della città ti stanno facendo impazzire, ma al momento non vedo proprio come potrei aiutarti.

«Senti, il
Post
può scrivere quello che vuole, e se il marito rifiuta di provvedere alla sepoltura finché non avremo trovato la testa, Cristo, che cosa possiamo dire se non che ha tutta la nostra comprensione e che faremo il possibile per ritrovarla al più presto?

«No, sembra che l'assassino se la sia portata con sé.» Rolk chiuse gli occhi e cominciò a massaggiarli con il pollice e l'indice.

«Be', a questo proposito il cronista del
Post
ha ragione. La donna era alla conferenza che si è tenuta al Metropolitan, oppure ci stava andando. Ci sono già un paio di miei uomini là e pensavo di farci un salto anch'io.

«Naturalmente, dovremo interrogare tutti quelli che erano presenti. Non abbiamo scelta, a meno che l'assassino non si faccia vivo per confessare.

«Ascolta, Martin, non posso farci niente se a quella gente non piace trattare con i poliziotti. Io ho per le mani un cadavere, una donna a cui è stata tagliata la testa prima o subito dopo avere partecipato a quella conferenza, come puoi vedere tu stesso dal rapporto del medico legale, e so che con tutta probabilità è stata usata un'arma vecchia di settecento anni. Direi che è più che sufficiente per svolgere qualche indagine nell'ambito del Metropolitan. E ho tutte le intenzioni di farlo.

«D'accordo, nessun problema. Dirò ai miei uomini di infastidire il meno possibile.

«Ma certo, Martin. Non appena avremo qualcosa di un po' più solido ti informerò.»

Rolk riattaccò e rimase a fissare il telefono per qualche istante. «Col cazzo che lo farò,» borbottò poi, rivolto a nessuno in particolare.

Si alzò e cominciò a infilarsi il soprabito.

«Al museo?» chiese Devlin.

«Sì. Il nostro amico ha bisogno di informazioni, quindi tanto vale metterci in moto e scovarne qualcuna.»

Mentre si avviavano alla porta Devlin represse un sorriso. «Ho la sensazione che questo caso stia preoccupando parecchio gli alti vertici,» commentò.

Rolk pensò ai giorni che lo aspettavano, ai nuovi omicidi che, lo sapeva, avrebbero fatto seguito al primo. «Preoccupa anche me,» disse alla fine. «E tra qualche giorno rovinerà il sonno anche a te.»

 

6

 

Seduta nell'ufficio modernissimo, asettico, Kate Silverman aspettava pazientemente che Alexandra Ross concludesse la telefonata che aveva interrotto la loro conversazione. Si sforzava di non ascoltare la voce irritante di Alexandra che cercava di intimidire il suo interlocutore e per distrarsi lasciava vagare lo sguardo per la stanza, un ambiente freddo e sofisticato, tutto vetro e cromo, con sobrie stampe postmoderne lungo le pareti bianche e una vistosa composizione astratta sospesa a fili quasi invisibili in un angolo. L'effetto generale, decise, strideva nel Metropolitan Museum non meno della voce di Alexandra.

Si sistemò meglio sullo scomodo divano avveniristico e spostò la sua attenzione sullo specchio che copriva per intero il pannello della porta. Esaminò con cura la propria immagine; era in perfetto ordine, come le piaceva essere. Elegante. Professionale. Quegli aggettivi le strapparono un sorriso, sebbene sapesse che in fondo le si addicevano. Sapeva di essere attraente e non ignorava che molti la consideravano bella, grazie ai morbidi capelli biondi, agli occhi verdi e accattivanti e alla perfetta struttura ossea. Il tailleur grigio-blu, di costosa seta grezza e dal taglio impeccabile, le dava proprio l'aspetto sobrio ed efficiente a cui aveva mirato, e così pure la camicetta di seta verde che lasciava immaginare ben poco della sua figuretta aggraziata.

Kate passò a studiare Alexandra e i risultati del confronto le parvero soddisfacenti. Anche lei era dotata di un certo stile e, sebbene fosse sulla quarantina e non particolarmente graziosa, sfoggiava un trucco magistrale che ne accentuava i lineamenti regolari. Aveva capelli neri tagliati corti e pettinati con disinvoltura su un lato e un ciuffo le ricadeva sulla fronte, nascondendo parzialmente uno dei grandi occhi castani. Gli abiti, poi, sembravano parte integrante di lei; le aderivano al corpo, si muovevano a ogni suo gesto, vibranti come le piume di un uccello intento a pavoneggiarsi.

Kate tornò a guardare la propria immagine riflessa nello specchio. Certo ormai assomigliava ben poco alla diciottenne approdata a New York dieci anni prima per studiare antropologia alla Columbia University. Ma era diventata la donna che fin da allora si era prefissa di diventare. Laureata in antropologia, dipendente del Museo Americano di Storia Naturale e con l'aria di essere appena uscita dalle pagine di
Vogue.
Sorrise a se stessa ripensando ai desideri di un tempo, e che in fondo non erano poi molto diversi da quelli che ancora la animavano.

Il tonfo del ricevitore che veniva riabbassato la riportò alla realtà. «Maledetto sciocco incompetente,» scattò Alexandra, e il suo viso esprimeva una profonda irritazione. «Ci sono persone che riescono a combinare solo casini anche se gli tatui le istruzioni sul culo.»

Chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale della sedia. «Dove eravamo rimaste?»

«Stavamo cercando di decidere quali oggetti fotografare per i poster e i manifesti pubblicitari.»

Alexandra cominciò a tamburellare sulla scrivania con le lunghe unghie smaltate. «Sai,» cominciò, «proprio non riesco a capire perché diavolo noi del Metropolitan abbiamo acconsentito ad allestire una mostra in collaborazione con il Museo di Storia Naturale.»

«È abbastanza semplice, direi,» fu la risposta di Kate. «Lavorando insieme... occupando una stessa area, voglio dire... siamo in grado di organizzare una tra le più interessanti mostre di arte tolteca che si siano mai avute, mentre operando individualmente non saremmo mai arrivati a tanto.»

Alexandra agitò vagamente una mano. «Naturalmente non voglio sottovalutare l'importanza di certi risultati. Non sto neppure cercando di denigrare il vostro museo. Sappiamo tutti che, nel suo genere, è uno dei migliori del mondo. Ma quando parliamo di mostre, cara, parliamo di spettacolo, il che poi significa trovare il modo di attirare il pubblico. Ora, non ho certo dimenticato la tua conferenza di ieri sera. È stato un lavoro eccellente e molto ben congegnato. Ma la gente che conta, quella con i soldi, è venuta perché la conferenza si teneva qui, al Metropolitan. Per essere del tutto franca, il Metropolitan attira e il vostro museo no. Parola mia, proprio non vedo perché sui manifesti i nomi dei due musei debbano comparire in eguale grandezza. E soprattutto non capisco perché l'aspetto strettamente pubblicitario non venga lasciato esclusivamente a me.»

Kate sorrise. Alexandra era invidiosa del suo successo della sera prima, ma lei era decisa a tutto pur di evitare scontri. «La dottoressa Mallory vuole soltanto avere...»

«Lo so,» la interruppe di nuovo Alexandra. «La vecchia vuole mantenere il controllo dell'intero progetto. Cristo, credo che la tua riuscita di ieri sera l'abbia addirittura infastidita.»

Più di quanto tu creda, pensò Kate, e stava per dirlo quando il telefono squillò di nuovo.

Alexandra rispose con voce irosa e riattaccò quasi immediatamente. «Cristo,» proruppe.

«Problemi?»

«Puoi dirlo: abbiamo la polizia alla porta. Qualcosa che riguarda un omicidio avvenuto stanotte nel parco. E, ti assicuro, è più di quanto sia disposta a sopportare stamattina.»

In quel momento la porta si spalancò e comparve l'uomo strano e attraente che Kate aveva incontrato la sera prima; dallo stato dei suoi vestiti, notò lei, sembrava che ci avesse dormito dentro.

Alexandra si alzò, lanciando a Rolk uno sguardo di franca ammirazione. «Sono Alexandra Ross,» si presentò.

«Tenente Rolk,» replicò lui, tendendole la tessera.

Lei la guardò appena. «Stanislaus,» lesse con un sorrisetto che le incurvò le labbra all'insù. «Un nome insolito.»

«Non a Varsavia.»

Alexandra inarcò appena le sopracciglia. «Oh, è là che è nato?»

«No,» rispose Rolk, riprendendosi la tessera.

Gli lanciò un'occhiata incredula, poi, con un sospiro esasperato, tornò a sedersi.

«Che cosa posso fare per lei, tenente?» domandò.

Rolk guardò lei, poi la sedia che Alexandra gli indicava con una mano, infine si sedette, con il soprabito spiegazzato sulle spalle. «Potrebbe rispondere a qualche domanda, Miss Ross. E poi indicarmi con chi parlare per trovare la risposta ad altre.»

Alexandra accese una sigaretta ed esalò una lunga boccata di fumo con un gesto che sembrò sottolineare la sua irritazione. «Il fatto è che non ho molto tempo, tenente. Stiamo cercando di mettere a punto le iniziative promozionali per una mostra molto importante.»

Quel plurale era chiaramente riferito a lei e a Kate e Rolk lanciò un'occhiata alla donna più giovane, salutandola con un cenno della testa. Kate ricambiò sorridendo, ma quando Rolk tornò a guardare Alexandra, dal suo viso era scomparsa ogni traccia di affabilità. «Immagino che la sua segretaria non le abbia detto che una donna è stata assassinata a pochissima distanza dal museo.»

«E invece sì, me l'ha detto, tenente,» lo contraddisse Alexandra con una nota secca nella voce.

Rolk guardava la parete dietro Alexandra, dov'era appeso un dipinto molto grande e, per lui, del tutto incomprensibile. Lentamente si alzò. «Non ho alcun desiderio di sconvolgere la vostra routine,» dichiarò. «Uno dei miei uomini l'accompagnerà al Tredicesimo Distretto insieme con le altre persone che abbiamo necessità di interrogare. Discuteremo di tutto nel mio ufficio.»

Alexandra scattò in piedi come spinta da una molla. «Non è
questo
che avevo in mente,» obiettò.

Rolk la guardava. «Non m'importa che cosa avesse in mente lei, Miss Ross. Le sto dicendo quello che ho in mente
io.
»

Proprio in quel momento la porta si aprì e comparve un secondo uomo.

«L'agente Devlin,» lo presentò Rolk, con un piccolo cenno del capo.

Kate osservò di sottecchi Alexandra che esaminava con attenzione il nuovo arrivato. Non fa che soppesare e valutare gli altri, pensò. E questa volta era chiaro che quello che vedeva le piaceva.

Paul Devlin scambiò qualche frase di saluto con Alexandra, poi si voltò verso Kate, che gli sorrise.

«Kate Silverman,» si presentò. «Lieta di conoscerla, agente.»

Devlin continuò a guardarla, un po' troppo insistentemente, pensò lei, finché Rolk non richiamò la sua attenzione.

«Trovato qualcosa al piano terra?»

Dalla tensione che aleggiava nell'aria Devlin intuiva che una delle due donne, probabilmente quella seduta alla scrivania, era stata così avventata da irritare Rolk e che poi aveva avuto modo di scoprirne le conseguenze.

«Alcuni tra gli addetti alla sicurezza credono di avere già visto la donna delle fotografie, ma non possono affermarlo con certezza.
I
ragazzi stanno finendo di interrogare i membri del personale.»

«Spero si renda conto che questa storia può diventare molto sgradevole. Per
tutti
quelli che hanno a che fare con il museo, personale e visitatori.»

Alexandra aveva parlato a Rolk e Devlin si accorse di trattenere il respiro in attesa della sua risposta.

Ma il viso del poliziotto rimase impassibile. «Sono certo che a Mrs Gault dispiacerebbe moltissimo.»

Alexandra inarcò le sopracciglia ben disegnate con aria interrogativa.

«Cynthia Gault. La donna che ha assistito alla vostra conferenza ieri sera e che è stata decapitata a poche centinaia di metri dalla porta di servizio del museo.» Si voltò verso Kate. «Con una tecnica molto simile a quella del rituale tolteco che lei ha illustrato, dottoressa Silverman.»

Le due donne lo fissarono attonite, poi si guardarono l'un l'altra. Kate impallidì; l'espressione di Alexandra, che per un attimo aveva riflettuto il suo stupore, tornò a farsi irosa.

«Non parlerà sul serio?» mormorò poi Kate con voce tremula.

«Più che simile, direi quasi identica,» la contraddisse Rolk. «Come sa, c'ero anch'io. Ho seguito la conferenza con molta attenzione.»

Ora Alexandra lo studiava con un interesse nuovo; le riusciva difficile credergli. «Lei... c'era?»

«Sì. E ho apprezzato moltissimo l'intervento della dottoressa Silverman. Perlomeno fino alle cinque di questa mattina.»

Fu di nuovo Alexandra a rompere il silenzio che seguì. «Molto bene, tenente. Vediamo di risolvere questa faccenda nel modo più rapido. Che cosa sta cercando con esattezza?»

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