Rolk gli si accovacciò accanto. «Voglio che trapeli il meno possibile di questa faccenda.»
Lentamente Feldman si abbassò gli occhiali sul naso e guardò i due poliziotti. «C'è più di una dozzina di giornalisti e cameramen a pochi metri da qui,» disse. «E tutti dotati di macchine fotografiche senza teleobiettivo. Sanno già che la nostra piccola amica non ha la testa.»
«Dovranno accontentarsi di questo. Non devono sapere nulla del lembo di pelle asportato, della testa che non è stata ancora ritrovata e di tutto il resto.» Guardò l'agente in uniforme che aveva aiutato a girare il cadavere. «Questo vale anche per te,» lo ammonì.
«Per quanto tempo credi di poter tenere tutto a tacere?» volle sapere Feldman guardandolo negli occhi stanchi, un po' tristi.
«Da quarantotto a settantadue ore, spero. Per allora dovremmo avere interrogato tutti quelli che le erano vicini, e c'è sempre la possibilità che qualcuno si lasci sfuggire qualcosa che non dovrebbe sapere.»
Il medico sbuffò.
«D'accordo, Jerry. Sono stronzate, ma ho bisogno di tempo. Quindi vedi di fare a modo mio.»
Per un attimo Feldman sembrò irritato dal suo tono brusco, poi grugnì un assenso. «Sarà bene portarla al più presto al Méditerranée dei Morti.»
Rolk sussultò a quella definizione dell'obitorio, poi con il pollice indicò Devlin.
«Paul viene con te. Io vi raggiungerò entro un paio d'ore con qualcuno in grado di identificare il cadavere, spero.»
Feldman lo scrutò per qualche istante con calma, poi scosse appena la testa. «Faresti meglio ad andare a casa e a metterti in ghingheri per la televisione,» sbottò.
«Ma non farei mai la tua figura, Jerry,» scherzò Rolk battendosi una mano sul soprabito. «Solo lana, niente cashmere.»
Insieme con Devlin tornò al suo punto di osservazione, mentre gli inservienti dell'obitorio infilavano il corpo in un grosso sacco di plastica. Oltre i lussuosi condomini che si allineavano lungo la Quinta Avenue stava sorgendo il sole e le prime pennellate di luce conferivano una bellezza austera a quelle gelide scatole di cemento, simbolo di ricchezza.
«Ma, Cristo, perché non è successo da qualche altra parte?» borbottò Rolk, indicando con un cenno la fila di edifici. «Metà di quei ricchi bastardi non mancherà di convocare il loro consigliere comunale oggi stesso.» Serrò la mascella, socchiudendo gli occhi. «Be', almeno non ci sarà nulla sul
News
e sul
Times
fino a domani.»
«Aspetta che esca il
Post
questo pomeriggio,» si affrettò a smontarlo Devlin.
Rolk annuì. «Già, il caso della donna senza testa li farà impazzire.» Fece qualche passo in cerchio, meditabondo, poi si fermò e posò una mano sulla spalla del compagno. «Accertati che i ragazzi del laboratorio frughino bene la zona circostante; lascia qualcuno a sorvegliarli. E tu resta attaccato a Feldman. È in gamba ma pigro, e se non gli stiamo addosso ci farà perdere un mucchio di tempo.» Lo fissò negli occhi. «E, soprattutto, non permettergli di intimidirti. Voglio sapere tutto, chiaro? Quello che aveva sotto le unghie; eventuali tracce di droga o alcool nel sangue; frammenti dell'arma rimasti nelle ferite, soprattutto se possono aiutarci a capire di che materiale è fatta, e se possibile anche dove e quando è stata fabbricata. Voglio tutte le informazioni utili in mattinata, insieme con i risultati degli esami di routine, per scoprire eventuali violenze sessuali, che cosa ha mangiato a cena e così via.» S'interruppe e nei suoi occhi comparve un'espressione remota. «Stando al documento trovato nella borsetta si chiamava Cynthia Gault e abitava nel West Side. Portava la fede, quindi è meglio mandare due uomini a quell'indirizzo per vedere se si riesce a trovare il marito. Che cerchino di portarlo all'obitorio entro le dieci, abbiamo bisogno di un'identificazione sicura al più presto.»
«D'accordo,» assentì Devlin.
«Ora sono le sette. Resta attaccato a Jerry; poi alle nove e mezzo passa a casa mia. Ho intenzione di seguire il suo consiglio e di darmi una ripulita.»
«Hai già un'idea su quello che è successo, vero?»
Rolk annuì. «Ma ho bisogno dei dati di Feldman per capire se sono nel giusto oppure no.»
«Non vuoi dirmi proprio niente?»
«No, finché non sarò sicuro. Quindi rimani appiccicato al culo di Feldman, e non mollarlo neppure un istante.»
L'appartamento di Stanislaus Rolk era sull'Ottantasettesima Strada Ovest, tra Columbus e Amsterdam Avenue, in un edificio d'arenaria a quattro piani che lui e sua moglie avevano comperato quindici anni prima, quando la loro unica figlia ne aveva due. Rolk era appena stato nominato tenente e l'aumento di stipendio, insieme con la nuova politica comunale di prestiti agevolati per il restauro di vecchi edifici del West Side, aveva permesso di realizzare il loro sogno di una casa a Manhattan.
Alla ristrutturazione avevano pensato quasi completamente da soli, creando due appartamenti ai piani superiori in modo da soddisfare le condizioni necessarie per ottenere il prestito e trasformando i due piani inferiori in un duplex con un giardino sul retro e un'area giochi.
Pochi anni più tardi l'Upper West Side era stato scoperto. Molti altri edifici erano stati acquistati e rimessi a nuovo e i prezzi degli immobili e degli affitti avevano subito una brusca impennata. Più o meno in quel periodo la moglie e la bambina di Rolk erano scomparse, lasciandosi dietro un biglietto semplice e freddo. Sua moglie si era innamorata di un altro, ma non aveva indicato alcun nome, né la loro meta, e tutti i tentativi di rintracciarle erano stati inutili. Ora, quindici anni dopo, Rolk occupava ancora lo stesso appartamento, arredato con gli stessi mobili e in cui aleggiavano i medesimi ricordi. E ancora tentava di capire il perché di quanto era accaduto.
Rolk varcò la porta a pianterreno ed entrò nell'ingresso, dove ristagnava un odore di chiuso e di muffa. Devo ricordarmi di aprire le finestre, si disse. Di arieggiare la casa tutti i giorni. Puzza di chiuso come una tomba.
Lasciò cadere il soprabito su una sedia e salì le scale che portavano in camera sua, al secondo piano. Già da parecchi anni aveva smesso di preoccuparsi per lo spazio eccessivo che occupava da solo; una volta accettata l'evidenza che sua moglie non sarebbe tornata, l'idea di cinque stanze e un intero seminterrato per un uomo solo gli era sembrata alquanto stravagante, ma la prospettiva di trasferirsi in uno degli appartamenti più piccoli e vendere parte dei mobili avrebbe richiesto più energia e forza di volontà di quante ne possedesse. Così era rimasto lì, proprio come era rimasto tenente, senza mai sforzarsi di cambiare casa o di migliorare la sua posizione. Inerzia, ecco quello che avrebbe sentenziato parecchia gente. Ma lui stava bene così; non aveva altre ambizioni.
In bagno, Rolk si sfilò la camicia e cominciò a spalmarsi la schiuma da barba sulle guance. La sua faccia lo fissava dallo specchio, pallida e segnata. Anche gli occhi erano stanchi. Così com'era stanco lui di saltare giù dal letto in piena notte per andare a esaminare i cadaveri straziati che la città partoriva con instancabile regolarità.
Ma il cadavere di quella mattina era peggiore degli altri, pensò. Certo, aveva visto gente mutilata in modo ben più grave, eppure intuiva qualcosa di strano in quell'omicidio, nel modo in cui gli indumenti erano stati ripiegati e disposti, così da favorire il ritrovamento. E la bizzarra compostezza del corpo, quasi fosse stato preparato per la sepoltura, con i piedi uniti, le mani incrociate sullo stomaco. Rabbrividì. Che cosa diavolo ci faceva quella donna nel parco, di notte? Una donna rispettabile, forse una frequentatrice del museo. Se fosse stata una puttana, sarebbe stato più semplice trovare una spiegazione, ma la fede, il documento rinvenuto nella borsa, il fatto che non era stato portato via nulla, tutto sembrava puntare in una direzione diversa. Forse era stata abbordata da qualcuno in un bar, si disse. Forse era una delle tante donne sposate sempre in caccia, una di quelle che non avevano avuto fortuna con gli uomini. Forse era proprio questo che era accaduto a sua moglie. Forse anche lei era morta, ora. Si costrinse ad allontanare quel pensiero e fissò la sua immagine riflessa nello specchio, vagamente disgustato di sé. È questo lavoro, pensò. Con il passare del tempo ti prende la mano.
Aveva già impugnato il rasoio, ma indugiò ancora, gli occhi sempre fissi sulla sua faccia. L'anno prossimo ne avrai cinquanta, si disse. E fai il poliziotto da quasi trenta. Ancora un paio d'anni e cominceranno a starti addosso perché tu vada in pensione. In pensione per fare che cosa? si chiese. E se vengono a conoscenza della tua ultima visita medica, di quell'onda anomala evidenziata dall'ultimo elettrocardiogramma, non sarà più neppure questione di tempo o di pressioni. Cominciò a passarsi il rasoio sulla guancia. Ma a fare la diagnosi era stato il
suo
medico, non quello del dipartimento. E i medici della polizia erano notoriamente negligenti. Sogghignò; se così non fosse, dozzine di psicotici che ora ostentavano il distintivo sarebbero finiti a lavorare come guardie private.
Dopo essersi rasato, Rolk infilò una camicia pulita, desiderando che fosse un po' meno spiegazzata, una cravatta qualsiasi, miracolosamente priva di macchie, e una giacca che sembrava molto meno stazzonata dei pantaloni in tinta.
Cominciò a scendere le scale, ma si fermò davanti alla porta della seconda camera. La aprì, entrò. Con il passare degli anni la stanza era cambiata, ma lentamente e a prezzo di sforzi meditati. Non era più la camera di una bambina di tre anni; al posto della culla c'era un letto singolo di legno bianco e completo di baldacchino; i punti strategici erano ancora occupati dagli animali di pezza, ma adesso c'erano anche dei libri allineati sul cassettone bianco, stampe in cornice alle pareti e altri oggetti adatti a una giovane donna la cui mente sta cominciando a espandersi. Jenny. La piccola Jenny. Ancora un anno e ne avrebbe avuti diciotto, non più tanto piccola, quindi. E se mai fosse tornata, la sua stanza era lì, che l'aspettava.
Aprì l'anta dell'armadio. Poiché ignorava la taglia di lei, fare acquisti era stato difficile, ma i colori erano chiari e brillanti e piacevoli da guardare. Mentre passava una mano su un abito fantasia azzurro, si chiese se a sua figlia sarebbe piaciuto. Si chiese anche se quella domanda avrebbe mai avuto una risposta.
Ora la mano gli tremava, così si affrettò a chiudere l'armadio. Con i mobili nuovi, più grandi, la stanza sembrava più angusta rispetto a quando aveva contenuto solo una culla e pochi giocattoli. Anche la carta da parati era stata sostituita, ma a lui sembrava ancora di vedere sua moglie che lavorava al suo fianco, armeggiando con la colla e l'acqua, i capelli biondi scompigliati, e rideva o imprecava per la loro goffaggine.
Erano stati felici allora, o almeno lui così credeva. Ma lo aveva creduto anche l'ultimo giorno che l'aveva vista. Quella mattina Kathy era seduta al tavolo di cucina e fissava la sua tazza di caffè. In piedi sulla porta, lui la guardava, pensando che era bella.
Le era sembrata taciturna, ma d'altra parte non era mai stata troppo loquace al mattino. O forse era cambiata nel corso degli ultimi anni? Difficile ricordare, adesso. Forse con il tempo si era fatta gradualmente più silenziosa, più introspettiva, e lui semplicemente non se n'era accorto.
Troppo preso dal tuo lavoro, si disse adesso. Troppo indaffarato per accorgerti di quello che stava accadendo nella tua vita.
Serrò le mani a pugno.
«Sta' attento,» erano state le ultime parole che lei gli aveva rivolto.
Lui aveva farfugliato qualcosa in risposta, poi si era chinato a passare una mano sulla testa della figlia che, seduta per terra, seguiva un programma per bambini sul piccolo televisore della cucina. Ridacchiava e non si era neppure accorta del suo gesto affettuoso.
Una fitta di dolore gli trapassò la fronte; chiuse la porta della stanza di Jenny, tornò nella sua e si sedette, in attesa che il mal di testa passasse. Si sarebbe concesso qualche minuto, non di più, poi sarebbe tornato al lavoro, sarebbe tornato agli orrori che quella nuova giornata avrebbe portato con sé, quali che fossero.
2
La stanza era scura, intima come un bozzolo. Una brezza leggera ma fredda entrava dalla finestra parzialmente aperta e le tende ondeggiavano appena, come se nascondessero qualcuno o qualcosa.
La persona giaceva sul letto completamente vestita, con gli occhi chiusi, il viso rilassato, il respiro che le usciva dalle labbra in un sibilo rauco, quasi impercettibile. L'immagine del sacrificio le scorreva di continuo davanti agli occhi, ogni dettaglio studiato con cura, ogni gesto valutato in base alle esigenze del rituale.
Era stato quasi perfetto. Solo la fretta aveva offuscato l'austera bellezza della cerimonia. Ma la donna aveva cercato di sfuggire all'incontestabile necessità del rito, in un vile tentativo di sconvolgere l'ordine che pure era tanto importante. Avrebbe dovuto essere punita per questo, ma non ce n'era stato il tempo.
Se non altro, era bionda; questo era stato il motivo principale per cui l'aveva scelta, sebbene non avesse fatto che da preludio a quella che sarebbe giunta più tardi, quella che avrebbe permesso l'adempimento del rito finale e supremo. Lei - la più importante - diceva a tutti di chiamarsi Kate Silverman, ma non era questo il suo vero nome, un nome conosciuto solo dal custode del rito, e da un altro.
E quell'altro avrebbe potuto distruggere l'importanza del rituale per pura ignoranza! No, non doveva accadere. La morte doveva essere offerta alla prescelta come ultimo atto d'amore e concessa in armonia e senza sofferenza, in modo da mantenere la purezza del dono. Era necessario che chi era destinato a riceverlo sapesse che la vittima sarebbe stata accolta con bellezza e amore; lei doveva sapere che la morte la attendeva non perché era malvagia, ma perché era meravigliosa.