«Già ci siamo concentrati su quello che diceva e non sul suo aspetto,» rincarò Rolk. «Era quel tipo di donna.» S'interruppe, come sforzandosi di ricordare qualcosa. «Parla con tutti i nostri ragazzi. Voglio un rapporto dettagliato sugli indiziati che avevano l'incarico di pedinare. Voglio sapere dove hanno passato la serata, minuto per minuto.»
Devlin abbassò lo sguardo. «A proposito di questo, c'è un problema,» borbottò.
«Sul serio?» Ora Rolk lo fissava con durezza.
«Mi sono lasciato sfuggire il prete un po' prima delle otto.»
«Come diavolo hai fatto?»
Il viso di Devlin era rigido. Non si era mai sentito tanto irritato con se stesso. «Avrebbe dovuto occuparsi delle confessioni fino alle nove, così ho pensato di approfittarne per tornare a casa e cenare con mia figlia.» Tacque e il viso gli si imporporò. «Ma apparentemente poca gente è andata a confessarsi e lui è uscito prima.»
«Per andare dove?» La voce di Rolk era piatta, priva di inflessioni.
«Non lo so. Ho parlato con un altro sacerdote della chiesa, ma tutto quello che ha potuto dirmi è che è uscito pochi minuti prima delle otto.»
Per qualche istante Rolk lo fissò in silenzio. «Occupati delle altre faccende, allora,» disse alla fine.
Devlin annuì. «Mi dispiace.»
«E così deve essere,» replicò duro lui.
Si avviò verso la piccola piramide di pietra, dove trovò Feldman inginocchiato accanto al cadavere. La cima della costruzione era tronca ed era lì che era stato disposto il corpo, quasi preparato per la sepoltura, così com'era accaduto per la prima vittima.
«Hai riscontrato qualche discrepanza?» chiese Rolk.
«Non sono stato così fortunato,» borbottò in risposta il medico legale. «Perfino il modo in cui la pelle è stata asportata dalla schiena coincide. E l'angolatura delle incisioni, tutto. Posso dirtelo subito senza aspettare i risultati del laboratorio: l'assassino è lo stesso.» Scosse la testa. «Ma che diavolo ci faceva la Ross in questo posto, a quell'ora? Con chi diavolo ci è venuta?»
«Perché te lo domandi?»
«Perché è morta da almeno tre o quattro ore e doveva esserci troppo traffico lungo la Quinta Avenue perché qualcuno potesse trascinarla fin qui senza farsi notare.»
«Quindi ritieni che conoscesse l'assassino,» osservò Rolk.
«Tu no?»
Lui annuì. «È solo che volevo sentirlo dire da qualcun altro.»
Greenspan e Rolk ascoltavano il rapporto di Moriarty sull'incontro avuto da Sousi nel bar per single e su come l'uomo si fosse dileguato nel traffico cittadino, poco più tardi.
«Ma non è andato a casa, tenente,» concluse Moriarty, il viso roseo più acceso del solito. «Questo almeno ho potuto verificarlo.»
Rolk annuì e gli batté paternamente una mano sulla spalla. «Non preoccuparti, Charlie. Sono cose che capitano.» Si voltò verso lo psichiatra. «Nessun campanello d'allarme per te? Qualcosa che ha detto Charlie?»
«È tutto troppo vago. Non posso diagnosticare un caso di psicopatia basandomi su una, breve conversazione svoltasi in un bar. Non sono tanto bravo.»
Rolk lo guardò riempire di tabacco il fornello della pipa domandandosi se non fosse un po' avventato a fumare. Greenspan era stato sul luogo del delitto, aveva guardato il cadavere e la zona circostante e ora la sua faccia aveva una preoccupante sfumatura verdastra. Avrebbe voluto risparmiargli almeno i particolari, ma sapeva di non poterlo fare.
«Scusami per averti coinvolto in questa storia,» cominciò, «ma volevo che ti rendessi conto con esattezza del problema che ci troviamo ad affrontare. Sono persuaso che questi omicidi si rifanno a certi rituali toltechi e, di conseguenza, alla mostra allestita al museo.»
«Sono d'accordo,» assentì Greenspan.
«Ma c'è qualcosa che non sai. Una delle collaboratrici del museo ha ricevuto dall'assassino quelle che potremmo definire gravi minacce.»
Rolk elencò allo psichiatra le varie offerte votive lasciate per Kate Silverman. Alla fine Greenspan si passò con aria distratta una mano sul mento. «Potrebbe trattarsi di un classico esempio della sindrome prendetemi-prima-che-uccida-ancora, sindrome che usualmente comporta omicidi sempre più ravvicinati nel tempo. Il nostro assassino potrebbe desiderare che qualcuno lo fermi in generale, o, più specificamente, che lo fermi prima che uccida la dottoressa Silverman. In ogni caso, una cosa è certa.»
«E sarebbe?»
«Devi proteggere quella donna, se non vuoi che faccia una brutta fine.» Greenspan lanciò un'ultima occhiata al cadavere di Alexandra Ross, poi chiuse gli occhi. «E di sicuro non ho alcuna voglia di assistere un'altra volta a spettacoli come questo,» aggiunse.
Due addetti alla sicurezza e un affaticato direttore del personale sonnecchiavano in fondo al grande ufficio, mentre Rolk e Devlin esaminavano per la quarta volta la scheda di Alexandra Ross. Era stata messa a loro disposizione una linea telefonica privata e poco prima Bernie Peters, incaricato di interrogare i vicini di casa della vittima, li aveva informati che non c'erano amici intimi che potessero identificarne il cadavere.
«Era una donna interessata a una cosa sola,» commentò Devlin. «Neppure una vacanza negli ultimi due anni.»
«Ci sono persone devote al proprio lavoro,» replicò Rolk. «Non come certi funzionari pubblici.»
Devlin sbirciò di sottecchi la faccia arcigna del collega, cercando di capire se lo stesse ancora rimproverando per il suo recente fallimento. Stabilì alla fine che non era così. «Quando è stata l'ultima volta che
tu
ti sei preso una vacanza?» chiese.
«E come potrei prendermela?» sbottò Rolk. «Quando la gente continua ad ammazzarsi?» Estrasse una sigaretta dal pacchetto posato sulla scrivania e l'accese. «Maledizione. Quella donna ha lavorato qui per dieci anni e occupava quell'appartamento da dodici. Eppure non si è fatta un solo amico intimo in nessuno dei due posti. Secondo i vicini, riceveva un sacco di uomini, ma non aveva un accompagnatore fisso.»
Devlin puntò il dito sulla riga da cui risultava che entrambi i genitori della vittima erano deceduti. «Anche questo non ci aiuta,» borbottò. «La sua segretaria è partita per un lungo fine settimana, il che significa che non c'è nessuno in grado di identificare i suoi oggetti personali.»
«
Quasi
nessuno,» lo contraddisse Rolk. «C'è Kate Silverman.»
«Kate Silverman?» ripeté Devlin.
«Già. È stata nel suo ufficio ieri e non può non avere notato com'era vestita. Cercala e portala alla morgue il più presto possibile.» Guardò negli occhi il collega. «Il fatto che la testa sia scomparsa è già un grosso guaio e se non potremo neppure stabilire ufficialmente l'identità della morta, la stampa e i politici vorranno la nostra pelle.»
In quel momento squillò il telefono. «Sì, sono io,» rispose Rolk. «Allora?» Ascoltò per qualche istante, il viso impassibile. «Digli che lo voglio nel mio ufficio domattina alle nove.» Rimase ancora in ascolto e Devlin lo vide irrigidirsi sulla sedia. «Allora portalo all'obitorio tra mezz'ora. Lo interrogherò lì.» E riattaccò bruscamente:
«Chi era?»
«Era il nostro uomo alla canonica. Ieri sera padre Lopato è rimasto fuori dalle otto alle undici e mezzo.»
«Ha detto dov'è andato?»
«Ad assistere a un film religioso presso l'auditorium della St. Gregory's School.»
«A soli dieci minuti di taxi da qui.»
«Infatti,» assentì Rolk. «E probabilmente quel posto brulicava di suore e sacerdoti.»
«Perché hai voluto che lo portassero all'obitorio?»
«Perché si è rifiutato di presentarsi da me domattina. Dice che alle nove deve dire messa.»
«Un po' troppo scrupoloso per un uomo che ieri non ha atteso neppure la fine dell'orario delle confessioni,» osservò Devlin. Poi, dopo una breve esitazione: «L'arcidiocesi farà il diavolo a quattro, lo sai.»
«La cosa ti preoccupa?»
«Per quanto mi riguarda, non sarai mai abbastanza duro con quel tizio.»
«O con chiunque altro,» rifletté Rolk. «No, se il nostro assassino ha deciso di concedersi una vera e propria orgia di omicidi...»
Devlin annuì. «Chiamo subito la Silverman.»
Kate sedeva a un lungo tavolo su cui erano sparpagliati gli effetti personali di Alexandra Ross. Aveva il viso tirato, la cui espressione tesa era accentuata dalla mancanza di trucco, e teneva le mani strettamente intrecciate in grembo.
«Ne è sicura?» domandò Paul Devlin.
«Sicurissima.» Parlò senza guardarlo. «Ricordo molto bene di avere ammirato quella collana. Lei mi ha detto che era molto vecchia e che era appartenuta a sua nonna. Non credo che possano essercene due uguali.»
«Naturalmente controlleremo anche le impronte digitali.» Devlin si sforzava di non parlare in modo troppo brusco. «Anche se, quando la vittima è una donna, generalmente non ci sono di grande aiuto. Sono poche quelle schedate.»
«Sa se per caso Miss Ross aveva cicatrici, nei o segni sulla pelle?» chiese Rolk.
Kate lo fissò perplessa. «Non l'ho mai vista nuda. E non abbiamo mai parlato di cose simili.
I
nostri contatti riguardavano soltanto la mostra.»
«Speravo che frequentaste la stessa palestra o qualcosa del genere,» spiegò lui, alzandosi.
«Non le ha mai parlato dei suoi amici?» interloquì Devlin. «Di qualcuno con cui era particolarmente intima?»
«Mai.»
«So che è tutto molto difficile per lei,» riprese Rolk. «Il fatto è che vogliamo essere il più sicuri possibile.»
Kate annuì. «Non è difficile, è solo che le cose stanno così. Semplicemente...» Non concluse la frase, ma poco dopo riprese: «Non ero particolarmente amica di Alexandra, e quel poco che conoscevo di lei non mi piaceva troppo.» Scosse la testa e rabbrividì leggermente. «Non provo emozioni particolari neppure adesso, a eccezione del desiderio di trovarmi altrove. Certo,
mi dispiace
che sia morta, non intendevo dire questo. È solo che non provo nulla...» S'interruppe, cercando le parole giuste. «Se non paura. So che è terribile da parte mia, ma non posso farci niente.»
«È una reazione naturale all'omicidio, specialmente quando si conosceva la vittima. E questo luogo certo non aiuta,» la rassicurò Devlin. «Tutti quelli che ci vengono non vedono l'ora di andarsene. Perfino i poliziotti.»
Kate si dimenò nervosamente sulla sedia. «Dovrò... guardarla?»
«No, non sarà necessario,» la tranquillizzò Rolk. «Anzi, in effetti non abbiamo più bisogno di lei.»
Kate sentì il corpo rilassarsi e per la prima volta si rese conto di quanto fosse stata tesa. Guardò ancora una volta gli oggetti sparsi sul tavolo e la scatola di cartone da cui erano stati estratti. Poi notò le file di scatole identiche ordinatamente impilate lungo una parete e si rese conto che ciascuna di esse conteneva gli oggetti di una persona morta inaspettatamente.
Dio, hai trascorso buona parte della tua vita da adulta a maneggiare i reperti di civiltà morte da secoli, i beni di persone che in molti casi hanno incontrato una fine orribile. Ma non le conoscevi e non avevi parlato con loro il giorno prima. Né mai avevi considerato la possibilità che la stessa cosa potesse accadere a te.
«Dottoressa Silverman?»
Al suono della voce di Rolk Kate si voltò; lui la stava fissando. «Mi dispiace. È questo posto, credo. Sto cercando di capire perché ha su di me un effetto tanto sconvolgente.» Sorrise debolmente. «Se penso che ho partecipato agli scavi di non so quante tombe!»
«Ma questo è diverso,» mormorò Rolk.
Lei annuì. «Sì, è diverso.» Si alzò per andarsene, ma indugiò ancora. «C'è qualcosa che credo di dovervi dire,» cominciò. «Non riguarda questo caso, tuttavia. Ma devo andare a Città del Messico per qualche giorno a sovrintendere alla spedizione di certi oggetti prestatici dal Museo Antropologico Nazionale messicano.»
«Quanto dista da Chichén Itzá?» volle sapere Rolk.
«Parecchio, direi. Anche se naturalmente in aereo il tragitto è breve. Perché?»
«Se la sentirebbe di farci un salto? Diciamo di un paio di giorni? Naturalmente sarebbe il dipaitimento di polizia a pensare alle spese.»
«Certo che potrei. Anzi, mi piacerebbe molto. Chichén Itzá è uno dei luoghi archeologici più interessanti dello Yucatán. Ma glielo chiedo di nuovo, perché?»
Rolk fece un gesto vago con la mano. «Un pensiero che continua a ronzarmi in testa. In realtà non sono affatto sicuro che possa servire a qualcosa. Quando parte?»
«Domani. Mi tratterrò a Città del Messico per due giorni.»
«In tal caso le farò sapere in seguito se sono ancora convinto dell'opportunità di quel viaggetto extra.» Serrò le labbra, offrendo la sua versione di un sorriso, e sia Kate sia Devlin parvero confusi. «La farò accompagnare al museo in macchina. Lo farei io stesso, ma sfortunatamente devo vedere ancora una persona.»
«Non si preoccupi,» mormorò Kate. «Se c'è qualcos'altro che posso fare. .»
Rolk le tese la mano. «Una cosa ci sarebbe. Crede che la dottoressa Mallory potrebbe fare a meno di lei per il resto della mattinata? Le sarei grato se mi accompagnasse a fare il giro del museo.»
«Sono certa che ne sarà felicissima. Ma deve rendersi conto che una visita completa richiede quasi una giornata intera. Soprattutto se le interessa vedere anche le aree destinate a magazzino.»