«È orfana?»
«Oh, non esattamente, direi.» Kate prese una sigaretta da una scatola posata sul tavolo e l'accese. La fiammella tremolò nella sua mano; tirò una lunga boccata, poi guardò con occhi distaccati la sigaretta. «Ho smesso di fumare mesi fa, ed ecco che al primo spavento ci ricasco subito...» Poi riprese: «In realtà mia madre è rimasta uccisa in un incidente quando io ero molto piccola e da allora mio padre non si è mai ripreso. Io sono stata allevata da sua sorella e dal marito di lei. Mi hanno dato tutto quello che potevano, perfino il loro nome.»
«Qual è il suo vero nome?»
«Warrenn.» Kate rise di nuovo, ma in modo più disteso. «Trasformata da WASP in ebrea con un semplice tratto di penna del tribunale. Un mutamento che ha scombinato parecchio la mia vita, anche se quasi sempre in modo divertente.»
«Preferirebbe chiamarsi Stanislaus Rolk?»
Si sorrisero e l'espressione tesa di Kate si attenuò.
«Vede?» disse Rolk. «La vita va avanti e sforzandosi un po' si può anche ridere.»
Negli occhi di lei comparve un'ombra. «Sì, la vita va avanti. Per alcuni, almeno. Ma continuo a pensare a quella povera donna uccisa nel parco. Non ho mai smesso di pensarci da quando ho visto il coltello sulla mia scrivania.» Tirò un'altra boccata e Rolk notò che la mano le tremava di nuovo. «Maneggio coltelli e pugnali da quasi dodici anni e in tutto questo tempo non ho mai pensato che potessero essere usati davvero, se non per creare un'atmosfera drammatica.» Serrò la mascella. «Dio, il male che l'umanità si fa da secoli. Com'è possibile che una razza così sanguinaria riesca a sopravvivere?»
«Be', almeno non ci divoriamo più l'un l'altro.»
«Già, un progresso davvero notevole.»
Quella nota di sarcasmo nella sua voce, decise Rolk, era dovuta più a certe sue convinzioni personali che al disagio di trovarsi in una situazione tanto sgradevole. Si sentiva attratto da lei come non gli capitava da molto tempo, ed era un'emozione che sentiva di dover tenere sotto controllo.
Di colpo Kate lo guardò dritto in faccia e sorrise.
«Non potrei mai diventare un buon agente investigativo, vero?»
Rolk scosse la testa. «Temo di no.»
«Come riesce a farcela, lei? Voglio dire, come riesce ad affrontare giorno dopo giorno tutti questi orrori e la crudeltà...»
«Ho una teoria riguardo agli agenti della Omicidi,» spiegò Rolk. «Credo che abbiano in testa dei piccoli scomparti dove possono chiudere tutte le esperienze che li turbano troppo, e dimenticarle. E se sono fortunati, vanno in pensione prima che quelle porticine si aprano per fare uscire i vecchi orrori.»
Il telefono squillò prima che Kate potesse replicare. Sollevò il ricevitore, ascoltò per qualche istante, poi lo tese a Rolk. «È per lei. L'agente Devlin.»
Le piaceva, pensò mentre lo guardava parlare al telefono. Le piacevano la sua forza e la sua competenza, ma da lui emanava anche un'aura vagamente minacciosa che la turbava ed eccitava al tempo stesso. Di colpo si chiese che genere di amante fosse, se nell'atto dell'amore esprimesse la gentilezza che lei gli aveva letto negli occhi. Poi si affrettò a scacciare quel pensiero; Rolk era lì per proteggerla, non per dare corpo a sciocche fantasie erotiche.
Rolk finì di parlare e tornò alla sua sedia.
«È sposato, tenente?» gli domandò Kate, e quella domanda sorprese lei per prima.
Lui esitò solo un momento. «Lo sono stato. Mia moglie mi ha lasciato quindici anni fa e ha portato con sé nostra figlia, di tre anni.»
«Dove si trovano adesso?»
«Non lo so. Ho continuato a cercarle... mia figlia, almeno. E qualche anno fa ho ottenuto il divorzio.» La guardò. «Non proprio i precedenti ideali per un uomo incaricato di scoprire un assassino, vero?»
«Ma lei lo scoprirà. Lo so.»
Rolk annuì. «Sì, lo scoprirò. E fino a quel momento non permetterò che le accada nulla.»
Kate spense la sigaretta. «Deve scusare il mio comportamento. Di solito non mi lascio spaventare con tanta facilità.»
Lui era certo che stesse dicendo la verità. «Temo di dover andare, adesso. Devlin ha trovato Juan Domingo; mi sta aspettando nel mio ufficio.»
Andò alla porta e Kate lo seguì. Quando si voltò, lui si accorse che stava tremando di nuovo.
«Mi dispiace,» mormorò lei. «Ma la prospettiva di restare sola mi sconvolge. Passerà.»
Rolk le passò le braccia intorno alla vita, l'attirò a sé e Kate gli appoggiò la testa sulla spalla. «Qui è al sicuro. Glielo garantisco. E passerò a prenderla ogni mattina.»
«Lo so,» sussurrò Kate con voce rauca. «Grazie. Grazie per essersi preso cura di me.»
10
Seduto nell'ufficio di Rolk, Juan Domingo sembrava piccolo e povero e spaventato come molti altri che si erano seduti lì prima di lui, pensò Rolk mentre scivolava dietro la scrivania e si preparava a terrorizzarlo ancora di più. Arrivando, aveva visto la moglie di Domingo seduta con le due figlie nella sala d'attesa e si era sentito in colpa per averli catapultati in quella che sembrava la scena di un vecchio film nazista, con uomini dalla faccia dura che entravano e uscivano, la pistola ben visibile sotto la giacca.
Ma il senso di colpa non l'aveva seguito nella sua stanza. Lì, seduto davanti a quell'ometto spaventato, il suo unico desiderio era di martellarlo fino a costringerlo a confessare o a dimostrare la propria innocenza.
«Parla inglese?» chiese a Devlin, che se ne stava con aria minacciosa dietro la sedia dell'indiziato.
«Neppure una parola. Solo maya e spagnolo. Mentre lo portavo qui non ha fatto che ripetere:
'Immigración.'
Il poveretto crede che lo vogliamo espellere dal paese.»
«Questa deve essere l'ultima delle sue preoccupazioni,» dichiarò Rolk, pronunciando le parole con durezza nel caso che Domingo fingesse soltanto di non conoscere l'inglese. «Come te la cavi con lo spagnolo?»
«Non troppo bene,» sospirò Devlin. «Allora vai a chiamare Lopez. Non voglio perdere niente di quello che dirà questo figlio di puttana.»
Mickey Lopez era uno di quelli che a New York vengono chiamati portoricani di colore, ed erano stati proprio i lineamenti negroidi a guadagnargli il soprannome di Negro tra i colleghi. Ma gli scherzi terminavano lì; non c'era agente che non lo considerasse uno dei migliori investigatori della squadra, e certo il più bravo nel ruolo del «poliziotto» nel duetto che si interpretava tradizionalmente durante gli interrogatori.
Non appena Lopez si fu seduto accanto a Domingo, Rolk puntò contro l'indiziato un dito accusatore. «Questo stronzo è nella merda fino agli occhi e io sono la sua unica speranza di cavarsela,» attaccò, adattando il tono di voce all'espressione degli occhi, duri e crudeli.
Poi restò a guardare Lopez che iniziava una lunga e complessa traduzione. Era un uomo grosso, dall'aspetto gentile, con l'espressione più affabile che Rolk avesse mai visto e un sorriso che non si spegneva mai. Ma sotto quella facciata si nascondeva un animo spietato e Rolk trasaliva ancora quando ricordava come avesse fracassato di botte un indiziato che aveva commesso l'errore di sputargli in faccia.
Domingo sembrava spaventato. Spariva quasi nella sedia su cui era stato fatto sedere e pareva ancora più fragile e magro di quanto realmente fosse. Mentre ascoltava Lopez i suoi occhi si dilatavano sempre di più, fino a dominare completamente il viso tipicamente maya, con la bocca ampia, piena, il lungo naso curvo e la fronte stretta.
Lopez si rivolse a Rolk. «Gli ho detto che si tratta di un'indagine per omicidio, ma a lui interessa soltanto sapere se abbiamo intenzione di denunciarlo all'ufficio Immigrazione. Che cosa vuoi che gli dica?»
Rolk fissò Domingo. «Digli che non credo che non sappia l'inglese. Digli che se scopro che ha mentito lo spedisco da quelli dell'Immigrazione e loro lo rimanderanno a calci in culo nella giungla da cui è uscito.»
«Parlo un poco inglese,» mormorò in quel momento Domingo. Gli tremavano le labbra e pareva che avesse difficoltà a formare le parole. «Lei manda
me
indietro. Non
mi esposa, mis hijas...
»
«Mia moglie e le mie figlie,» tradusse Lopez.
Il viso di Rolk s'indurì ancora. «Digli che io non scendo a patti, ma che ci penserò su, se mi dice tutto quello che sa sull'omicidio e il rituale. E digli di sforzarsi di parlare in inglese.» Ascoltata la traduzione, Domingo cominciò a parlare rapidamente in spagnolo, poi, ricordando l'ammonimento del poliziotto, si rivolse a Rolk. «
Es mui malo
,
è una cosa brutta,» disse. «Ma io non ne so niente... solo quello che ha detto il prete.»
«Padre Lopato?»
«Sì. Mi ha detto, stai attento, perché la
policia
mi cercava.»
«Chiedigli del sacrificio rituale,» disse Rolk a Lopez. «Chiedigli se ci crede.»
Mentre il portoricano parlava a Domingo, lanciò un'occhiata a Devlin. «Com'è la sua casa?»
«Un buco nella zona sud del Bronx. Ma è pulito. Le bambine sono sane e ben tenute.»
«L'hai perquisito?»
«Sì. Non c'è niente; ovviamente non avevo un mandato, ma dato che è un clandestino, non credo che ci sia da preoccuparsi.»
«E chi si preoccupa? In ogni caso non ci sarebbe difficile inventare qualcosa.»
Domingo, che stava parlando in spagnolo, s'interruppe di colpo quando gli occhi di Rolk tornarono a puntarsi su di lui.
«Dice che non crede nei sacrifici rituali,» cominciò Lopez, «al contrario della maggioranza degli abitanti del suo villaggio. Là, dice, i sacrifici resistono ancora. Il posto si chiama Chatulak, tra parentesi, ed è là che quel sacerdote cattolico aveva la missione.»
«Domandagli se qualcuno dei suoi compaesani che seguono l'antica religione si è trasferito qui, grazie all'organizzazione di assistenza ai profughi.»
«Già fatto. Mi ha risposto di no. Dice che quella gente non vuole lasciare il villaggio perché la giungla è l'unico posto in cui gli dei possono vivere. Dice che i loro luoghi sacri sono lì.»
«Il prete sapeva dei sacrifici?»
Fu Domingo a rispondere direttamente.
«Sì. Diceva che era
malo
,
cattivo. Ma loro non ascoltano, non sentono.»
«Chiedigli se lasciavano offerte per le loro vittime. Doni e cose del genere.»
Lopez tradusse.
«Non lo so,» rispose Domingo. «Io
católico.
»
«Stronzate!» tuonò Rolk, guardando con aria irosa il piccolo indigeno. «Tu mi stai mentendo e io rimanderò nella giungla anche tua moglie e le tue figlie.»
Domingo tremava mentre ascoltava la traduzione (del tutto superflua, pensava Rolk) di Lopez.
Un paio di volte l'indio tentò di spiegarsi in inglese poi, con un gesto di rinuncia, riprese a parlare in spagnolo, rivolgendosi a Lopez.
«Dice che lasciavano gioielli e certi indumenti.»
«Seguendo un certo ordine? Voglio dire, gli oggetti dovevano essere lasciati in base a un criterio stabilito?»
Il viso di Domingo esprimeva solo confusione e timore.
«Oh, non importa,» scattò alla fine Rolk. «È chiaro che non capisce di che cosa stiamo parlando. Ho l'impressione di non capirlo neppure io.» Si sporse in avanti, ingobbito, come un orso che si china a esaminare un pezzo di carne. «Voglio i nomi e gli indirizzi di tutti i suoi connazionali che hanno a che fare con Lopato,» disse alla fine con voce piatta.
Le labbra di Domingo fremettero, poi il tremito si estese alle mani, alle braccia, finché tutto il suo corpo fu scosso da un unico spasmo incontrollabile. Rolk continuava a fissarlo, impassibile.
«Prete dice che è peccato. Grosso peccato,» mormorò l'ometto.
Rolk non staccava gli occhi dal suo viso e alla fine Domingo annuì.
«Sì,» sussurrò. «
Por mi esposa y mis hijas.
»
«Non capisco perché l'hai lasciato andare,» proruppe Devlin quando Domingo e Lopez se ne furono andati. «Quelli dell'Immigrazione sarebbero stati felici di tenerlo a nostra disposizione finché avessimo voluto. Ma se ora taglia la corda, qualcuno chiederà la nostra testa.»
«Gli ho messo un uomo alle calcagna,» replicò Rolk, senza fare troppo caso alla preoccupazione dell'altro. «E non mi sembra il tipo che si presenta all'aeroporto Kennedy con la sua carta di credito, ti pare? Voglio sapere dove va e con chi parla. Voglio sapere se tenta di liberarsi di qualcosa.»
«Che cosa ne pensi di quel Roberto Caliento di cui ci ha accennato?»
«Vive e lavora a Brooklyn. Non ce lo vedo a fare un ingresso trionfale al Metropolitan con Donald Trump e Henry Kissinger. Ma non è escluso che abbia lavorato per qualcuno che invece l'ha fatto. Questo vale anche per l'altro, naturalmente.»
«Chi, per esempio?»
«Il sacerdote, forse. O uno degli antropologi.»
«Compresa la Silverman?»
«Stai dicendo che potrebbe essere stata lei a organizzare questa storia delle offerte votive?»
«Ammetto di avere preso in considerazione anche questa possibilità.»
«Anch'io,» dichiarò Rolk. «Chi altro abbiamo, ora?»
«L'ispettore Dunne e il tuo vicecomandante preferito hanno chiamato parecchie volte oggi pomeriggio. Sembrano molto ansiosi di parlarti.»
«Lo saranno anche domani,» brontolò Rolk, dando un'occhiata all'orologio. Erano le sette e quarantacinque. «Concediamoci dodici ore di libertà. Domattina alle otto aspetto qui qualcuno del dipartimento psichiatrico.» Scosse la testa e guardandolo Devlin sorrise. Sapeva perfettamente che Rolk detestava gli psichiatri e che considerava del tutto inutile il loro contributo al lavoro della polizia.
Sbirciò la cartella che il collega aveva tra le mani e si accorse che era la stessa che aveva visto a casa sua la sera prima. Evidentemente continuava a cercare la figlia.
«Lavori a quella roba stasera?» gli chiese.
«Per un po'. Ho un amico, un capitano che sta a Princetown, al Centro Orientamento Didattico. Credo che lo chiamerò e gli chiederò di effettuare qualche controllo per mio conto.»
«Ti serve una mano?»
Rolk scosse la testa. «No. Tu e Lopez andate da quel Caliento. Non si sa mai.»
Rolk percorreva l'Ottantasettesima Ovest e il passo lento, pesante, gli dava l'aspetto di un uomo fisicamente e mentalmente esausto. Nel pacchetto che stringeva sotto il braccio c'era un maglione di cashmere beige che aveva acquistato da un venditore ambulante. Probabilmente rubato, pensò adesso, come aveva già fatto al momento dell'acquisto, ma senza preoccuparsene. Lo aveva preso di taglia media, pensando che sua figlia avesse ormai le misure che la madre aveva avuto da giovane. Almeno, lo sperava. Davanti a casa sua indugiò qualche istante, gli occhi fissi sulla porta, un'epressione indecisa sul viso, poi passò oltre, dirigendosi a ovest.