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Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

Ritual (30 page)

BOOK: Ritual
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Devlin si costrinse a sorridere. Comprendeva perfettamente la preoccupazione della donna. Aveva già perquisito il suo ufficio e trovato il diario in cui parlava della sua vita privata e dell'attrazione che nutriva per le donne. Si era limitato a scorrerlo in fretta e ora avrebbe voluto poterle dire che non aveva importanza, che avrebbe mantenuto la massima discrezione su quelle informazioni. Ma naturalmente sarebbe stata una bugia. Perché tutto aveva importanza. Tutto sarebbe stato ricordato e catalogato e valutato. Era quello l'unico modo di svolgere decentemente il loro lavoro.

«Non contiamo di portare via nulla di strettamente personale, dottoressa Mallory. Anzi, non pensiamo di portare via proprio nulla, a meno che non si tratti di oggetti in qualche modo collegati agli omicidi.»

Gli sembrava quasi di vedere la sua mente che lavorava frenetica setacciando le parole, cercando di intuirne il significato profondo e di trarne un qualche conforto. Apparentemente, tuttavia, non ne trovò. «Le sarei inoltre grato se evitasse il più possibile di parlare della perquisizione,» continuò, sapendo perfettamente che lei non lo avrebbe accontentato. «Se in questa brutta faccenda è coinvolto qualcuno che lavora al museo, meno cose questa persona sa del nostro operato, meglio sarà.»

Ma Grace guardava un punto indefinito dietro di lui e i suoi occhi erano improvvisamente diventati fissi e vitrei. Era come se la sua mente si fosse di colpo staccata dal corpo e lui non riuscì a capire con sicurezza se lo avesse sentito, se le sue parole fossero riuscite a penetrare la barriera che a un tratto era calata fra loro.

«Spero che vorrà collaborare con noi,» insistette, e poi, sbalordito, rimase a guardarla mentre senza una parola si voltava e lasciava la stanza.

 

«Cristo santo, vuoi chiudere il becco?» grugnì Moriarty. «Quando avremo finito qui, ci aspetta là sala autopsie, e non me la sento di sopportare i tuoi piagnistei per un'altra ora.»

«Mi fanno stare meglio,» replicò Peters, puntando un dito contro il tavolo su cui avevano accatastato i fagotti di tela. «È come se ci fosse stata un'esplosione in una fottutissima macelleria, e tra il tanfo della carne e il fetore dei conservanti chimici, continuo ad avere voglia di vomitare. L'unico modo per evitarlo è parlarne.»

«Preferirei che tu vomitassi,» brontolò Moriarty. Era ormai arrivato al fondo del contenitore e lavorava piuttosto scomodamente. Si lasciò sfuggire un grugnito di fatica mentre recuperava un altro involto, poi riprese la sua filippica contro Peters.

«Almeno, se tu vomitassi non dovrei ascoltarti che descrivi ogni maledetto... Oh, merda. Merda.» Gli occhi gli sporgevano esageratamente dalle orbite mentre fissava la lunga ciocca bionda che spuntava dalle pieghe dell'involto che teneva in mano. Con le dita che gli tremavano, cominciò ad aprirlo. Sentì il proprio respiro affannoso, e sentì il conato di Peters quando entrambi si trovarono a fissare il viso stravolto ed esangue di Cynthia Gault. «Oh, merda,» ripeté, pronunciando l'imprecazione quasi fosse una litania religiosa. Alzò gli occhi sulla faccia altrettanto esangue di Bernie Peters. «Meglio che tu vada subito a chiamare Devlin e gli dica di avvertire il medico legale.» Poi tornò a guardare la testa. «Oh, merda.»

 

I
reperti animali erano stati rimessi al loro posto e Peters e Moriarty erano stati spediti da Ezra Waters perché si calmassero i nervi con un caffè o qualunque altra cosa la guardia avesse loro da offrire. Sul tavolo d'acciaio adesso non c'era più nulla, a eccezione delle teste di Cynthia Gault e Alexandra Ross.

In piedi vicino al tavolo, Devlin guardava Jerry Feldman chino sul collo reciso della Ross. Fissò il viso bianco, senza vita, incorniciato da una massa arruffata di capelli neri. Era stata una donna attraente quando l'aveva vista l'ultima volta. Sgradevole ed egocentrica, ricordò, ma senza dubbio attraente. Adesso non lo era più. La morte aveva assunto per lei la sua veste più orribile e ora aveva la bocca contorta in un ghigno e i denti scoperti, come a voler respingere l'orrore finale. Ma furono gli occhi che alla fine lo costrinsero a distogliere lo sguardo. Entrambe le teste li avevano aperti, ma ormai non erano altro che sfere lattiginose incastonate in quei volti stravolti.

«Allora?»

Feldman si raddrizzò e cominciò a stirarsi. «Non ho scoperto molto più di quello che già sappiamo.» Scosse la testa con lentezza. «Un ottimo taglio, però. Perfino migliore di quanto mi fosse sembrato all'inizio.» Allungò la mano e cominciò a svolgere un lungo brandello di pelle che partiva dalla nuca di Alexandra Ross e si allargava fino a raggiungere il punto in cui avrebbe dovuto esserci l'osso sacro.

Quando ebbe finito, tornò a guardare Devlin. «La prima volta che ho visto i cadaveri ho pensato che testa e pelle fossero state asportate separatamente. Capisce, con due incisioni distinte. Ma non è stato così. Vede, è un solo pezzo. Per questo dico che è stato un lavoro con i fiocchi.»

«Sono lieto che le piaccia tanto.»

Feldman sogghignò, ma senza allegria. «No, non si tratta solo di questo.» Con gesti cauti sollevò la testa e Devlin guardò con palese disgusto la soluzione in cui era stata immersa gocciolare dalla bocca, dalle orecchie e dalle narici.

«Che cosa le fa venire in mente?» chiese Feldman. Teneva la testa scostata dal corpo, così che il lembo di pelle penzolava più o meno all'altezza della sua vita.

«Un brutto sogno.»

«Sì, certo, ma anche qualcos'altro.» E avvicinò il macabro reperto a Devlin, che istintivamente indietreggiò. «Non le fa venire in mente nient'altro? Un'acconciatura, per esempio?»

L'agente si costrinse a esaminare con più attenzione la testa e il lembo di pelle che si allargava a mo' di cappa. Quella vista gli ispirava ancora repulsione, ma la capacità intuitiva acquisita durante gli anni cominciava ad avere la meglio. «Il rito,» disse.

Il medico legale annuì. «So che non rientra nelle mie competenze, ma in questi ultimi tempi ho letto qualcosa sui toltechi. Diciamo che ho sviluppato un interesse insolito per questo caso.»

«E...?» Ora gli occhi di Devlin splendevano d'interesse e teneva il corpo lievemente proteso in avanti, quasi preparandosi a ghermire al volo anche la più piccola informazione.

Feldman si lasciò sfuggire un lungo sospiro. «Be', c'era questa città tolteca chiamata Tulum. Piuttosto insolita per certi versi. Per cominciare sorgeva sulla costa, proprio sul Mar dei Caraibi, l'unica città mai costruita vicino all'oceano. In secondo luogo, rivestiva un grande significato religioso, perché era una città dedicata ai sacrifici umani.»

«Ancora più delle altre?»

«Forse non di più. Alcuni antropologi parlano di una forma più pura, più alta delle manifestazioni religiose. Qualcosa come l'alta Chiesa anglicana e la bassa Chiesa anglicana, immagino.»

«E qual è il nesso con tutto questo?»

Il medico si sedette sul tavolo, a pochi centimetri da una delle teste, e seppure con un sussulto Devlin si riscoprì, come molte altre volte, a invidiare la sua abilità di non farsi coinvolgere dagli orrori della professione.

Feldman giunse le mani nel tipico gesto di un maestro che si sforza di insegnare qualcosa a un allievo particolarmente ottuso. «A Tulum avevano eretto una piramide utilizzata esclusivamente per i sacrifici. In cima c'era una piattaforma piatta e su di essa una pietra triangolare. La vittima sacrificale veniva condotta su per la scalinata nel corso di una cerimonia molto complessa, con i sacerdoti ornati di piume e manti e gioielli e Dio sa che altro. Poi si provvedeva all'uccisione fracassando la schiena della vittima sulla pietra triangolare. Il corpo veniva completamente scorticato, ma senza svellerne né la testa né gli arti, e il torso gettato giù per i gradini della piramide. Il punto importante è il modo in cui la pelle veniva asportata, con la testa e gli arti ancora attaccati, e il fatto che poi uno dei sacerdoti la indossava come un mantello.» Puntò un dito contro Devlin. «Capisce a cosa sto cercando di arrivare? Questa faccenda è una versione modificata di quell'antico rito. Non me ne sono reso conto finché non ho visto le incisioni praticate su queste due donne. Ma che diavolo, sono sicurissimo che ci sia un legame tra le due cose.»

«Quindi il nostro assassino dev'essere qualcuno molto informato sui cerimoniali toltechi.»

Feldman sogghignò. «Mi legge nella mente, Paul. Queste sono informazioni note agli studiosi, e le persone che hanno solo un'infarinatura sulla cultura maya non ne sanno nulla. Che diavolo, io sono un grande ammiratore dell'arte precolombiana, eppure ignoravo tutto questo finché non ho cominciato a occuparmi di questo caso.» Una pausa, poi: «Allora, quale sarà la sua prossima mossa, amico?»

Devlin si voltò, andò alla porta, poi tornò indietro. «Voglio che per almeno quarantott'ore non trapeli nulla. E voglio mettere sotto sorveglianza questo posto, nell'eventualità che il nostro assassino decida di visitare il suo...» Agitò una mano, alla ricerca della parola giusta, che però non venne.

«È per questo che mi ha chiesto di non far venire il furgone della carne?» Feldman vide Devlin annuire. «Farò del mio meglio, ma ci troveremo tutti e due in un mare di guai se le famiglie dovessero scoprire che non le abbiamo informate tempestivamente del ritrovamento delle teste.»

«Lo so,» assentì l'agente. «Ma è un rischio che dobbiamo correre; spero solo che capiranno. Ha qualche suggerimento da darmi?»

«Sì, direi di sì. Porti quello strizzacervelli a dare una controllatina alle persone che collaborano alla mostra. Dev'essere per forza uno di loro, Paul. O qualcuno vicinissimo a loro.»

Devlin annuì di nuovo. «Vedrò lo psichiatra domani.»

«Un'altra cosa, Paul. Dica ai suoi ragazzi di tenere gli occhi aperti. Dio solo sa che cosa potrebbe fare l'assassino se scoprisse che sta mandando a monte la sua simpatica piccola cerimonia.»

 

24

 

Padre Lopato sorrise debolmente. Aveva il viso pallido e smorto e le mani, che teneva in grembo, si agitavano come animate di vita propria.

«Sono certo che sta drammatizzando troppo, Grace. La polizia sta solo facendo il suo dovere e con tutta probabilità se ha frugato nelle sue carte private l'ha fatto del tutto casualmente.»

Grace Mallory sedeva dietro la sua scrivania, un'espressione irata sulla faccia sparuta. «Perché non la pianta di parlare come un prete e non si comporta da studioso qual è? Non hanno alcun diritto di violare la nostra intimità. Non sono una criminale e non merito di essere trattata come tale.»

«Crede che abbiano perquisito l'intero museo, o solo alcune parti?» Ancora una volta le mani del sacerdote si avvinghiarono l'un l'altra; un tic gli contraeva un angolo della bocca.

«Non so dove abbiano guardato e dove no. Quelli che ho incontrato erano nell'ufficio di Malcolm e frugavano nella sua scrivania. Ho avuto l'impressione che ce ne fossero altri in giro, ma non so di preciso dove.»

«Be', forse non hanno esaminato le
sue
cose,» ipotizzò Lopato.

«Oh, sì, invece, che Dio li maledica. Ne sono certa.»

Nel tentativo di calmarla, il religioso sollevò una mano tremante. «Capisco il suo turbamento, e d'altra parte ha ogni diritto di essere sconvolta. Ma proprio non vedo che cosa si possa fare al riguardo.»

Allora Grace si chinò in avanti, la faccia arrossata dalla collera. «Tutti, padre,
tutti
hanno qualcosa che preferiscono tenere per sé. E se è questo che vogliono, è loro diritto poterlo fare!»

La veemenza con cui pronunciò quelle parole ebbe un effetto tutto particolare sul sacerdote. Sembrava quasi che lei gli stesse dicendo che conosceva i suoi segreti così come conosceva i propri. Il solo pensiero bastò a farlo infuriare.

«Capisco dove vuole arrivare, Grace. Capisco perfettamente. Ma lei si trova davanti al fatto compiuto e tutto quello che può fare è proteggersi da altre eventuali intrusioni.»

La dottoressa ebbe una risata di scherno. «Si illude forse che non verranno anche da lei? Se fossi al suo posto, non conterei sul fatto che qui non toccheranno nulla solo perché è una chiesa.»

«Perché mi dice questo? Per darmi modo di proteggermi?»

Grace si lasciò sfuggire un lungo sospiro e di colpo si abbandonò contro lo schienale della sedia. «È quello che intendo dire a tutti,» rispose, e ora la sua voce era più calma e aveva una nota di sconfitta. «Perché credo che tutti abbiamo il diritto di proteggere la nostra intimità.» Parve arrabbiarsi di nuovo. «E sono decisa a fare tutto il possibile per proteggere la mia mostra.
Non
permetterò che la sua importanza venga sminuita da queste indagini.»

Padre Lopato la fissava. Com'era possibile che quella donna non capisse che
c'era
un legame fra la mostra e gli omicidi rituali? Quella era una realtà incontrovertibile. Ci aveva pensato per giorni ed era arrivato alla conclusione che i primi sacrifici verificatisi nello Yucatán erano in qualche modo collegati agli scavi che in quel periodo erano in corso nella zona.
I
riti di sangue non avevano semplicemente seguito
lui
a New York, avevano seguito la
mostra.
Certo anche lei doveva capirlo. Giunse le mani, nel tentativo di calmare il tremito. Tuttavia comprendeva anche i motivi per cui Grace sentiva la necessità di proteggere la mostra. Era un lavoro troppo importante perché andasse perduto e spalancava sull'antica civiltà orizzonti nuovi e troppo preziosi per essere messo in disparte. Perfino la polizia avrebbe dovuto rendersene conto.

«Che cos'ha intenzione di fare, Grace?» domandò. «In che modo pensa di proteggere la mostra?»

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