Lei rise. «O forse i sopravvissuti erano realmente protetti dagli dei.»
Lo guidò lungo il
saché
fino a un ampio spiazzo di erba ben curata. Lì, proprio al centro, si ergeva la grigia sagoma massiccia di El Castillo, la grande piramide sacrificale ora nota come Il Castello.
«Era questo l'edificio più importante della nuova città di Chichén Itzá,» spiegò Kate.
«I
conquistadores
spagnoli, che lo utilizzarono come fortezza, lo ribattezzarono Il Castello, ma originariamente era il tempio di Ku Kulcan, o Quetzalcoatl, come è più comunemente conosciuto. Queste quattro imponenti scalinate, ciascuna delle quali posta di fronte a un punto della rosa dei venti, hanno novantun gradini, che diventano trecentosessantaquattro-trecentosessantacinque se si contano anche quelli della piattaforma al vertice... oppure il numero dei giorni dell'anno. Sui lati ci sono inoltre cinquantadue sezioni corrispondenti al numero degli anni del cosiddetto 'giro del calendario', e diciotto terrazze che rappresentano i diciotto mesi dell'anno religioso.»
«Anche qui si tenevano sacrifici?» domandò Rolk.
Kate distolse lo sguardo, puntandolo sugli ampi gradini. «Temo che tutti i luoghi che vedrà fossero utilizzati a questo scopo.» Infilò il braccio sotto quello di lui e lo guidò verso una porta. Entrarono nel tempio interno, al centro del quale stava un trono rosso vivido a forma di giaguaro in cui gli occhi e le chiazze del manto erano dischi di giada.
«Incredibile,» mormorò Rolk, abbacinato da tanta bellezza.
«E non è finita,» rise Kate, scortandolo in un'anticamera adiacente che ospitava un'effigie del Chac Mool.
Kate spiegò che la statua del dio era una componente essenziale in tutte le cerimonie. «Le vittime destinate al sacrificio venivano portate qui e sventrate. Poi i cuori, ancora fumanti e palpitanti di vita, venivano loro strappati dal petto e gettati dai sacerdoti nel grembo del Chac Mool, come offerta a Quetzalcoatl.»
«Gesù,» borbottò Rolk guardandosi intorno; gli si erano rizzati i capelli sulla nuca e quasi gli sembrava di percepire la sofferenza e l'agonia che avevano saturato quella stanza. «Credevo che si trattasse di decapitazione.»
«Infatti,» confermò Kate. «Ma l'offerta del cuore umano aveva un'importanza quasi pari.»
«Grazie a Dio il nostro killer a questo non è arrivato.» Poi, dopo una pausa: «Non ancora, almeno.»
«Avrebbe dovuto disporre di un'immagine del Chac Mool. E per quanto ne so, non ne esistono di appartenenti a privati.»
Quando uscirono dal tempio, lei gli sfiorò il braccio e a Rolk non sfuggì l'espressione seria, quasi urgente, del suo viso.
«Non voglio che si faccia un'impressione sbagliata,» cominciò Kate, un po' esitante. «Sebbene i maya... e soprattutto i toltechi... fossero per molti versi un popolo brutale, erano anche brillanti e molto civilizzati rispetto alla loro epoca.» Si voltò a indicare la scalinata alle loro spalle. «In occasione dell'equinozio di autunno e di primavera, il ventidue marzo e il ventidue settembre, un fenomeno solare dà vita a un serpente fatto di luce sugli scalini della facciata nordovest della piramide. Un effetto ideato da loro. Rappresenta Quetzalcoatl, il serpente piumato. Il loro dio.» Tacque, come riluttante a proseguire. «E anche i sacrifici facevano parte della loro religione. Una manifestazione dell'amore che nutrivano per il loro dio e per i loro simili, soprattutto quelli che venivano sacrificati.»
«Una realtà che molti troverebbero difficile da accettare,» obiettò Rolk.
«Soltanto se considerata nella prospettiva sotto cui vedono i recenti omicidi di New York. Ma quello che succedeva qui non è diverso da quello che succedeva in ogni parte del mondo a quell'epoca.»
Lui scosse la testa. «Ha ragione. Mi sforzerò di pensarla in questo modo.» Poi le sorrise. «C'è altro?»
«Sì. La prossima sosta sarà allo Sferisterio.»
«Sarebbe dove giocavano non so quale gioco usando teste umane? E poi sacrificavano la squadra perdente?»
«Temo di sì. Ma voglio mostrarle i bassorilievi sulle pareti. Hanno tutti la forma di teschi umani. Ce ne sono centinaia e centinaia.»
Rolk si lasciò sfuggire un lungo sospiro. «Continui così, e stanotte avrò qualche problema ad addormentarmi.»
Lei gli sorrise e i suoi occhi erano amichevoli, comprensivi e pieni di calore. «Oh, sì che dormirà. Dovrà farlo. Domani ci aspetta un lungo viaggio nella giungla e il migliore mezzo di trasporto è il cavallo.»
Dopo lo Sferisterio visitarono la Corte delle Mille Colonne, il Tempio dei Guerrieri, El Mercado e alla fine la vecchia Chichén, dove si ergevano il Convento dei sacerdoti e il Caracol.
Kate si fermò davanti all'immenso edificio dotato di un'unica scalinata che conduceva a un'ampia piattaforma su cui stava una torre rotonda a cupola. «Il mio posto preferito,» annunciò. «È il Caracol, l'osservatorio. Fu costruito tra il novecento e il milleduecento dopo Cristo e aveva punti di osservazione fissi per le localizzazioni astronomiche.»
«Niente sacrifici?»
Kate scosse la testa. «No, mai. Venivano qui per osservare la luna e il sole e, pur senza strumenti, erano in grado di prevedere le eclissi.» Parlando, gli voltò le spalle. «Idearono un calendario che sgarrava solo di due millesimi al giorno. Un calendario, in effetti, che perdeva solo due ore ogni quattrocentottantun anni. Il nostro, quello gregoriano, ne perde ventiquattro ogni quattro anni.» Di nuovo nei suoi occhi comparve quella strana espressione di urgenza. «Ecco quello che vorrei cercare di spiegarle. Per molti versi erano uomini dotati di ingegno e di fantasia, molto più di noi, ed è in questa ottica che deve valutare le loro azioni.»
Rolk le posò una mano sulla spalla, percepì il calore della pelle accarezzata dal sole. «Lo so,» disse. «Ma sarebbe più facile senza le decapitazioni, senza tutto questo bisogno forsennato di brutalità.»
Gli occhi di Kate s'indurirono. «L'uomo
è
brutale. E l'ha dimostrato di continuo. Le camere a gas
e
i forni crematori in Germania, le migliaia di torturati e uccisi in Argentina, i campi di lavoro in Unione Sovietica. Queste non sono espressioni di antiche civiltà. E almeno per i maya si trattava di tradurre in pratica le loro credenze religiose. Il sacrificio era un atto d'amore. Ma che cos'è l'omicidio per i
nostri
assassini?»
La sala da pranzo con il tetto di paglia del Mayaland Lodge guardava sulle antiche rovine, ora semplici ombre che si stagliavano contro il cielo d'inverno. Kate e Rolk sedevano a un tavolo illuminato dalla luce delle candele con davanti due tazze di caffè con
leche.
Avevano appena concluso un festino a base di specialità locali, cominciando con granchio dolce e
kazón
,
per finire con
conchinita pibil
,
maialino di latte strofinato con
achiote
,
il succo delle aspre arance di Siviglia, aglio e pepe nero, e poi fatto cuocere avvolto in foglie di banano.
«Ho l'impressione che tutte le cuciture del mio vestito stiano per scoppiare,» si lamentò scherzosamente Kate. «Ma d'altro canto mi capita sempre qui nello Yucatán. Non riesco a resistere alla loro cucina.»
«È molto diversa da quella che ho assaggiato a New York,» osservò Rolk. «Anche se devo ammettere di non essermi mai spinto oltre la carne
asada
e il
mole poblano.
Questi sapori sono infinitamente più esotici.»
«E più fragranti che speziati,» sospirò Kate con aria soddisfatta. «Un gusto terribilmente sensuale.»
Rolk la guardò, il viso addolcito dalla luce delle candele, e decise che non aveva bisogno di cibi speciali per sprigionare sensualità.
«Quando ci raggiungerà il suo collega della polizia locale?» domandò poi lei.
«Da un momento all'altro, direi,» rispose Rolk, dando un'occhiata all'orologio. «L'ho invitato a cena, ma aveva non so quale festa di famiglia. Ma ha detto che ci avrebbe raggiunti per bere qualcosa insieme.»
«Preferisce che vi lasci soli? Voglio dire, se dovete discutere degli omicidi di New York, forse toccherete questioni di cui è meglio che io non sappia nulla.»
«Nessun problema,» la rassicurò lui. «Non gli dirò più di quanto non sarà strettamente necessario. A me interessa soprattutto scoprire quello che è accaduto qui. Quando sono iniziati gli omicidi e le modalità di esecuzione.»
«È alla ricerca di eventuali analogie?»
«Proprio così. Ecco il motivo per cui vorrei che ascoltasse anche lei quello che ha da dirci il nostro amico messicano. Non è escluso che ci siano particolari concernenti il rito che mi sono completamente sfuggiti. In questo senso lei potrebbe essermi di grande aiuto.»
«E che cos'altro spera di trovare?» La voce di Kate aveva un tono accusatorio.
Rolk esitò un istante, poi decise che sarebbe stato onesto con lei, soprattutto perché aveva sollecitato il suo aiuto. «Voglio scoprire fino a che punto certa gente di New York potrebbe essere coinvolta negli omicidi avvenuti qui.»
Gli occhi di lei si spalancarono. «Si riferisce alla dottoressa Mallory e a Malcolm, vero?»
«E a padre Lopato. Erano tutti qui quando il rituale di sangue è ripreso, così come erano a New York, e molto vicini ai luoghi dei delitti su cui stiamo indagando.»
Kate lo fissò. «Ed è per questo che vuole andare a Chetulak, non è vero? Vuole vedere se riesce a collegarli a qualcosa di specifico.»
«In parte è per questo, sì.»
«E io la sto aiutando. Mio Dio, Rolk. Quelle persone, Grace e Malcolm, almeno, sono miei colleghi di lavoro.»
«Potremmo anche scoprire qualcosa che li scagionerà completamente. Provi a vederla sotto questo aspetto.»
«Non so se ne sarò capace.» Parlando, Kate giocherellava nervosamente con la tazza. «Avrebbe dovuto avvertirmi! Quando mi ha detto che c'era la possibilità di scoprire fatti che avrebbero potuto nuocere a qualcuno, io pensavo che si riferisse al campo professionale. Mai avrei immaginato che si proponeva di dimostrare la loro colpevolezza.»
Rolk si protese verso di lei, un'espressione intensa sul viso. «Stiamo semplicemente cercando di smascherare un assassino, Kate. E non si tratta di un poveraccio qualunque che si è innervosito mentre rapinava una drogheria. Abbiamo davanti un individuo che sceglie a caso delle donne e le uccide. E per di più, siamo convinti che non la smetterà finché non saremo
noi
a farlo smettere.»
Kate teneva gli occhi fissi sulle rovine seminascoste dal buio. «La sua potrebbe non essere una scelta casuale,» osservò.
«Che cosa intende dire?»
Lei si voltò a guardarlo. «Le donne. Potrebbero non essere state scelte casuali. Di certo non lo sono state, se l'assassino intendeva realmente celebrare un rituale tolteco. Capisce, i toltechi sacrificavano solo persone appartenenti alle classi nobili. Gli aristocratici, diciamo. Uomini e donne, indistintamente.»
«Ma negli Stati Uniti non esiste la nobiltà.»
«No, ma le donne che sono state uccise non appartenevano neppure alla classe lavoratrice media. Deve essere stato qualche altro elemento che le ha rese importanti al punto di essere sacrificate.»
Rolk si accigliò. «E soltanto il killer sa qual è.»
Kate fece per rispondere, ma fu bloccata dall'apparizione di un ometto tarchiato con la testa calva e un paio di enormi baffi all'ingiù.
«Il tenente Rolk?» disse, tendendo la mano a Rolk che si era alzato. «Sono il capitano Rimerez. Mi scuso del ritardo, ma...» Si strinse nelle spalle. «Questo è il Messico.»
«Nessun problema, capitano. Le sono riconoscente di avermi comunque dedicato un po' del suo tempo.» Rolk si volse verso Kate. «La dottoressa Kate Silverman, un'antropologa che ha acconsentito ad aiutarmi.»
Lei gli lanciò un'occhiata rapida, incerta, prima di tendere la mano.
«Felicissimo, dottoressa,» le sorrise il capitano.
«Temo che ci sia un problema,» riprese Rolk, mentre con un gesto invitava l'ospite a sedersi. «Parlo pochissimo spagnolo.»
«Va bene così. Sono sempre contento di fare un po' di pratica di inglese. Non me la cavo troppo male, vero?»
«Direi che lo parla in modo eccellente,» lo rassicurò l'americano. «Da parte mia, sono stato nel vostro paese solo una volta in passato. Anni fa, a Città del Messico.»
«Ah, è là che sono nato.» Rimerez continuava a muovere la testa da un lato all'altro. «E ci ho anche lavorato per parecchi anni. Ma...» Alzò le spalle. «Mi è capitato di offendere la persona sbagliata e sono stato mandato qui, in questa giungla d'inferno. Sostenevano che il trasferimento era dovuto al fatto che sono parzialmente indio e che quelli come me sono gli unici con cui gli indigeni accettano di trattare.»
«È vero?»
«A volte, ma non sempre. Cose del genere non capitano anche da voi?»
«Oh, sì,» sorrise Rolk. «Capitano eccome. Che cosa ne dice di bere qualcosa?»
A un cenno d'assenso di Rimerez, chiamò il cameriere per ordinare un giro di Don Pedro, il suo brandy messicano preferito. Mentre aspettavano i drink, chiacchierarono oziosamente del loro viaggio.
Poi, quando Rimerez ebbe assaggiato il brandy e furono così conclusi i preliminari, Rolk sollevò la questione dei riti di sangue.
Rimerez se ne stava appoggiato all'indietro sulla sedia, con il ventre prominente che cercava di aprirsi un varco tra i bottoni del gilè. «Come sempre, è cominciato senza preavviso,» esordì. «Son sparite delle donne. Alcune giovanissime, altre molto anziane. Ma tutte appartenenti a famiglie di capi del villaggio, o di quelli che al giorno d'oggi passano per capi. Si tratta più che altro di un titolo onorifico.»